Grazie allo sviluppo delle terapie oggi siamo in grado di trasformare alcuni virus in trasportatori in grado di fornire una versione funzionante di geni altrimenti difettosi e responsabili di specifiche malattie. Nonostante ciò, non tutte le malattie genetiche sono ugualmente affrontabili con la terapia genica: in particolare, per le patologie del sistema nervoso centrale non è ancora possibile un intervento diretto poichè il cervello, dotato di una barriera naturale, risulta difficilmente accessibile.
Uno dei casi che ha avuto successo è quello della terapia Libmeldy®, indicata per il trattamento della leucodistrofia metacromatica. In questo caso però, l’intervento viene eseguito sulle cellule staminali ematopoietiche del paziente che vengono estratte, ingegnerizzate e reinfuse. In seguito alla reinfusione, per il processo infiammatorio causato dalla malattia, le cellule staminali ematopoietiche vengono richiamate al cervello dove portano la copia del gene corretta e preservano dalla degenerazione.
Questo approccio però non è sempre applicabile. Alcune patologie genetiche, infatti, hanno un decorso rapidissimo e il trapianto di cellule staminali non riesce a ripristinare le funzioni per tempo. Per questo motivo, un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano, guidato dalla Dott.ssa Gritti, sta studiando da anni una strategia che combina il trapianto di cellule staminali con la somministrazione dell’enzima funzionante direttamente nel cervello, tramite l’utilizzo di una terapia genica in-vivo.
I risultati dei test su modello murino della gangliosidosi di Sandhoff, pubblicati sul Molecular Therapy – Methods & Clinical Development, mostrano che la strategia combinata porta ad un netto vantaggio rispetto ai singoli trattamenti: la terapia genica fornisce immediatamente l’enzima mancante o malfunzionante dando il tempo alle cellule staminali ematopoietiche di arrivare al cervello ed espletare la loro funzione.
Questo approccio potrebbe essere prezioso e cruciale per questa grave patologia – e per tutte le patologie a decorso rapido – ma servirà più tempo e nuovi approfondimenti per capire se sarà realmente in grado di cambiare la storia naturale della malattia.